mercoledì 5 gennaio 2011

soffri, piangi in silenzio ma sorridi a tutti

Qualche anno fa prendevo sempre il caffè in un bar dove lavoravano 5 persone. Andandoci tutti i santi giorni due volte al giorno è normale che dopo un po' ci si chiamasse per nome e si scambiassero quattro chiacchiere.
Tra le bariste c'era una ragazza di circa 35 anni molto alta, mora con gli occhi chiari e molto carina anche se la maggior parte del suo fascino risiedeva nel suo volto sempre illuminato.
Ogni giorno dispensava a tutti un "buongiorno!" detto di impeto, un "buona giornata" pieno di trasporto e tanti "bella", "cara" e altri vezzeggiativi a tutte le ragazze giovani e meno giovani che passavano.
Una ragazza che conoscevo perennemente depressa, un giorno le chiese: "ma tu sei sempre sorridente!? ma come fai!? beata te!!"
La risposta lapidaria fu: " mio marito mi ha lasciato senza nulla e ho una bambina piccola da crescere. Lei è la gioia dei miei occhi ma la vita è difficile e siamo sole. Se non mi faccio coraggio io come facciamo? Non posso far vedere a mia figlia come è la realtà poi piangerebbe e non voglio che pianga".
La cosa mi atterrì: tanta spontanea falsità ma a fin di bene in una faccia sorridente e serena anche mentre parlava di questa cosa così malinconica e drammatica. Un volto senza la minima traccia apparente di dolore ma solo per chi non sapeva il suo segreto.
Rimasi ammirato davanti a questo gesto di altruismo e amore ma d'altra parte davanti a me c'era una donna profondamente sofferente che nutriva il suo spirito attraverso la felicità della figlia. Un cordone ombelicale immaginario al rovescio che sosteneva la madre dai turni al lavoro, i tanti impegni e il dover mantenere la sua piccola famiglia.
Di ragazze come lei ne ho conosciute alcune. Mi sono tornate tutte in mente con quell'episodio. Facce che non ricordavo e non ricordo più ma che da ombre silenziose quali sono nella mia testa hanno preso a parlare con le frasi che mi sono rimaste più impresse.
E queste frasi riportavano un ritornello di dolore, sempre lo stesso. Il ritornello che parlava di fingersi felici davanti agli altri per illudersi di esserlo davvero anche se ci si sentiva morti, senza stimoli per il futuro; un vero e proprio istinto alla sopravvivenza modificato per sostenersi dalle possibili domande della gente perché se hai problemi la gente,- vuoi per fin di bene o per malizia si deve impicciare, se sei felice vuoi per indifferenza o per invidia non gliene frega un cazzo.
A distanza di anni ho riconosciuto in loro persone molto sole in cui l'incapacità di volersi bene si esprimeva attraverso amori impossibili, autolesionismo e ricerca di passioni o stimoli per ubriacare i sensi sul momento.
A volte, ma anche spesso, provavo rabbia, forse perché un po' mi ci ritrovavo in certi loro comportamenti, forse perché avevo paura di esser più simile a loro di quanto conscientemente immaginassi.
Forse perché da esterno tutta questa inerzia nel rimanere in quella situazione era senza senso anche perché di fatto la loro "ricerca" non era mirata alle cause della loro infelicità, non era alla scoperta di se stessi e di tutti i fattori che le avevano fatte divenire così aride
ma tutta concentrata nel trovare un compagno o nel fuggire lontano dal loro dolore come capendo implicitamente che era qualcosa attorno a loro che non funzionava ma senza fermarsi per modificarlo o combatterlo, anzi l'unica soluzione era spesso la fuga.
La ricerca di un partner: quasi spasmodica, quasi sempre al ribasso cercando di svendersi magari, accontentandosi e umiliandosi solo per non esser soli e sole. Compagno a volte padrone perché loro ce lo avevano eletto, insensibile o magari solo incapace di capire bene chi avessero davanti, spesso perché la loro "schiava" per scelta era ben felice di ricoprire quel ruolo pur di non esser sola. Ben felice di fingere di apparire diversa da quel che era per paura di non piacere e rimanere ancora sola, tradendo se stessi e alimentando l'infelicità dal vuoto della propria personalità deformata.Tutto per non combattere una "bruttura", con il pensiero sicuro che essa "scompaia" dal mondo solo coprendola con un "telo" pesante. Un telo immaginario che copra gli occhi del cuore e così si pensa che impegnare la testa in qualcosa d'altro, costruire qualcosa assieme, anche se non lo si condivide,anche se non è la persona adatta o fare la crocerossina al disperato di turno faccia sentire meglio.
 Non è abnegazione ma solo paura di affrontare i propri problemi,"coprendoli" con un telo immaginario o facendo finta di non averli davanti. Ignorandoli dimostrando l'incapacità di essere se stessi fino in fondo con la paura di affrontare una strada per cui la maggior parte delle volte si è soli e in balia di mostri che spesso sembrano terribili ma sono solo sagome di cartone che nulla possono fare; come quando da bambini avevamo paura della giacca appesa all'attaccapanni e che alla penombra della notte pareva un mostro terribile appollaiato d'innanzi a noi.
Questo inganno a volte dura poco perché ci si rende conto che non va, a volte si continua per tanto tempo sempre sul filo del rasoio o a volte crolla come un castello di carte. L'illusione dura finché non vogliamo toccare con mano ciò che pensiamo di vedere e la delusione è ancora più grande. A volte ci si accorge di aver intrapreso una strada seguendo il miraggio della felicità che ci ha portato in lande ancor più terribili di dove si è partiti e si è di nuovo soli e tristi; ancor più smarriti. Quelle terre si chiamano depressione.
E tutto parte dall'illusione, dal non voler vedere e accettare certe cose perché l'accettare è una decisione difficile, è una decisione matura. Soprattutto al giorno d'oggi dove prevale un egoismo individualista in cui ogni persona è importante anche se non lo è affatto. Ogni persona rivendica il suo diritto ad un piccolo olimpo di venerazione e la prova sono i tanti che abusano dei social network, che urlano al mondo la loro disperazione e la loro solitudine  in una smania da post, in una ansia di far sapere al mondo cosa fa, come vive anche se non fa nulla di eccezionale.
non c'è la voglia di migliorarsi perché non si percepisce la mediocrità, si litiga davanti all'abbozzo di un confronto di idee, si litiga o se la si prende davanti ad una parola sbagliata senza chiedere spiegazioni, si è sempre sulla difensiva e si attacca per non sentire la propria mediocrità indosso.
Così è sempre stato; bisogna guardarsi dai lupi, dai nemici, da tutto ciò che vada contro il nostro pensiero sublime, romantico e geniale anche se non è sublime, non è romantico, non è geniale. Ma nessuno lo ammetterà mai perché viene da noi stessi e anche se detto quasi senza pensare solo perché detto con convinzione pensiamo che cosa più divina non possa esser detta perché è nostro, è detto da noi che siamo umani, abbiamo un cuore che batte e facciamo parte del mondo e dobbiamo esser qui per qualcosa di importante e non per restare mediocremente a calpestare il terreno. E chi pensa il contrario è solo invidioso e frustrato.
Non manca la modestia la giorno d'oggi perché di falsa modestia ce n'è fin troppa. Manca l'umiltà, quella vera, di capire che non si è così eccezionali,che non si nasce imparati e che siamo tutti parte di un qualcosa. Con un confronto azzardato direi che manca l'idea del superuomo di Nietzche. Tutti invece sono superuomini di loro stessi, tutti sono dei in terra; abbonda la vanità, abbonda la cupidigia abbonda la paura di non contare nulla che si combatte illudendosi di contare troppo. Abbonda una cosa che a guardandosi indietro nei secoli non è mai mancata.

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